Per mia indole tendo da sempre al perfezionismo, faccio fatica ad accontentarmi di un mio progetto e di rado lo trovo performante al 100% come immaginato inizialmente nella mia testa.
La propensione a rendere il mio lavoro il più possibile “perfetto” non è indice di presunzione, piuttosto la difficoltà di accontentarmi del risultato finale. Farei in continuazione ritocchi e migliorie, perché scovo sempre difetti o sbavature che andrebbero eliminate o corrette.
Qualche anno fa un collega con molta più esperienza, anni e maturità di me, accortosi per l’ennesima volta della mia insoddisfazione davanti al progetto a cui mi stavo dedicando, che lui al contrario di me trovava ottimo, sentenziò: “non incaponirti sull’idea di renderlo privo di difetti, preoccupati piuttosto di centrare l’obiettivo prefissato”.
Ricordo che quell’affermazione allora mi lasciò stupito e perplesso: si può davvero fare un ottimo lavoro senza puntare alla perfezione? Ebbene sì. Ma ciò vuol dire accontentarsi? No.
A questo punto però occorre fare alcune precisazioni: nel libro “The pursuit of perfect” di Tal Ben Shahar vengono descritte due categorie distinte di perfezionisti, quelli adattivi e quelli disadattivi.
I primi ambiscono a fare sempre meglio e a dare il massimo in modo costruttivo per sviluppare nuove capacità e migliorarsi, si approcciano quindi al loro obiettivo con ottimismo e sano desiderio di crescere. I secondi non sono mai soddisfatti di ciò che riescono ad ottenere e lo rifiutano, trovandolo irritabilmente imperfetto; per questo temono costantemente il fallimento e convivono con ansia e stress.
I perfezionisti adattivi, afferma sempre il libro, si prefiggono obiettivi realistici, quelli dei disadattivi invece non lo sono.
Alla fine quel commento del collega che mi aveva lasciato in un primo momento confuso e dubbioso è diventato successivamente chiaro: è giusto e sano ambire a fare sempre meglio perché ci fa crescere e migliorare, mentre non accontentarsi mai ed essere perennemente critici verso il proprio lavoro, in lotta verso sé stessi e il proprio operato, è distruttivo perché genera senso di inadeguatezza ed è fonte di infelicità.
Quindi è un comportamento positivo porsi obiettivi sempre più grandi ma realistici piuttosto che inseguire la chimera del lavoro perfetto e impossibile.
Okay, ho letto e riletto questo articolo, corretto e modificato parole, sinonimi e sintassi.
La conclusione è che avrei potuto scriverlo meglio di così, ma anziché tormentarmi al pensiero di aver generato un testo imperfetto preferisco concentrarmi già al prossimo, che so già sarà migliore, perché il mio obiettivo è fare sempre meglio. Enzo Ferrari un giorno ha detto che “la miglior Ferrari che sia mai stata costruita è la prossima”.
E tu? Che modello di Ferrari vuoi?
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